Il mondo finisce al caffè Torrefazione - Paolo Autino
Edizioni Cinquemarzo
IL ROMANZO HA VINTO LA XIX EDIZIONE DEL PREMIO LETTERARIO “L’INCONTRO”
Questo romanzo vuole proporre al pubblico qualcosa di originale rispetto al panorama letterario contemporaneo. Raccontarne la trama non dà che un'idea vaga delle sue caratteristiche: in esso ciò che conta è il ritmo del racconto, incalzante, il carattere paradossale e sorprendente degli eventi, l'alternarsi di brani intensamente drammatici e di altri assolutamente comici, un approccio stilistico e narrativo del tutto particolare.
I fratelli Salvatore, detto Totò, e Rosario Nocera sono dei giovani sbandati, dei teppisti: attraverso gli anni, hanno maturato un sentimento reciproco di odio, profondo e irreversibile, e ora sono in aperta competizione per il primato all’interno della famiglia. Più volte vengono alle mani tra di loro.
Gianni e Alberto sono due adolescenti frustrati, inetti ed egoisti, che appartengono alla piccola borghesia di provincia. Flavio e Nicandro, infine, sono degli handicappati, mentalmente ritardati.
Questi personaggi costituiscono una sorta di piramide di violenza, in cui il più forte prevarica il più debole: Totò Nocera, oltre ad odiare il fratello, perseguita Gianni e Alberto per un presunto sgarbo che gli avrebbero fatto; Gianni e Alberto, a loro volta, esercitano sui due handicappati dileggio e violenza. Eppure tutti quanti, benché in maniera diversa, sono degli emarginati e degli infelici; nessuno di loro ha un posto nel mondo.
I destini di questi personaggi – e di altri, che entrano successivamente in scena – si intrecciano e si compiono tragicamente una sera di aprile del 1977. Totò si reca a Vercelli con l'intenzione di dare una lezione memorabile a Rosario; ma vi incontra inaspettatamente Gianni e cambia idea, decidendo di sfruttare l’opportunità di vendicarsi di lui; quanto a Rosario, potrà punirlo anche in un altro momento. La situazione, però, precipita. Una imprevedibile sequenza di fatti drammatici, talora paradossali, sconvolgerà per sempre l'esistenza di Gianni e di Totò e li costringerà a prendere finalmente coscienza di se stessi e della propria vita.
Il Caffè Torrefazione sorge ai limiti orientali di Vercelli. Proprio qui, al Caffè Torrefazione, finisce il mondo. E' ciò che Gianni e Alberto hanno fatto credere al mongoloide Flavio, per spaventarlo. In realtà – i due ragazzi lo capiranno alla fine del romanzo – non è una fantasia, e neppure una metafora. E’ la concreta verità dell’esistenza, nel senso che la vita pone agli uomini dei limiti assolutamente invalicabili. Uno, innanzi tutto: la nostra natura e la nostra mente; in una parola, la nostra persona. Il mondo finisce sempre, in ogni istante, al Caffè Torrefazione come in ogni altro luogo, ogniqualvolta sperimentiamo l‘impossibilità di essere diversi da quel che siamo.
La storia narrata in questo libro è tragica, nel senso profondo del termine. Va rimarcato, tuttavia, che il racconto è condotto con leggerezza, alternando brani drammatici ad altri in cui prevale l’ironia o addirittura la comicità aperta.
Ecco alcuni stralci dell'opera.
“Fu allora. Totò allungò la mano destra nella tasca. Estrasse. Un coltello. Lo piantò in pancia al poliziotto, sotto il fegato. Ci fu un istante di silenzio, di immobilità, come se il tempo avesse frenato la suo corsa. La macchia rossa, cruenta, si allargava a dismisura sulla camicia azzurra, sul suo colore spento. Poi Antonio cadde a terra, con un rantolo. Izio e il Tendina avevano le mani nei capelli, e urlavano: “Che cazzo hai fatto? Che cazzo hai fatto?”. Scapparono, tutti e due, gettandosi a capofitto nell’oscurità. Totò era tutto insanguinato, in faccia, sulla camicia, nelle mani, ed era fuori di sé. Guardava il poliziotto steso a terra, immobile, fradicio di sangue, e boccheggiava...”
…....................................
“Era morta, sua madre. Già. Era rimasta per due mesi in ospedale, sola, abbandonata, nella stanza dove c’erano un uomo in coma e una donna deficiente, aspettando invano che i suoi figli l’andassero a trovare. Tossire e scatarrare? Sempre di più. Parlare? Sempre di meno. Piangere: questo sì, spesso. “Signora, che cos’ha?”, chiedeva l’infermiera; e lei: “Niente, niente”. Altro che niente; piangeva per i figli suoi, scelleratissimi, che l’avevano scaricata come un cane in autostrada, piangeva perché non sperava più che sarebbero venuti, e si chiedeva invano perché, perché, ma perché fanno così. E piangeva...”
…...................................................
“Come?”, ripetei, “Non sai dei genitori di Silvano?”, e lui: “No, non lo so. Che gli è successo?”.
Feci una pausa. “Li hanno portati allo zoo”. Nic, di nuovo a ridere: “Allo zoo?! Ma sono uomini, non sono mica delle bestie”. Affettai stupefazione: “Uomini?! Ma che cazzo stai dicendo? I genitori di Silvano sono due bestie, lo sanno tutti. Gli esseri umani, come me e te, parlano. Loro, invece, fanno solo versi, come le bestie, appunto”... “Però è strano”; Nicandro si era fatto d’improvviso serio: “Silvano è un uomo, e difatti parla. Come fa a nascere un uomo da due animali?”. Io assunsi l’aria e i toni del sapiente. “Capita. E’ raro, anzi rarissimo, ma capita. Tuo padre, ad esempio, è una persona normale; e gli sei nato tu, che invece sei deficiente”.
L’interlocutore, sempre tutto serio, faceva sì col capo, come a dire: è proprio vero, hai ragione...”